Ricorso  del  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri   (c.f.
80188230587)  in  carica,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
Generale  dello  Stato,  c.f.  80224030587,  fax  06/96514000  e  PEC
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it, presso la  quale  e'  domiciliato
per legge in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12; 
    Contro la Regione Toscana, in persona del Presidente della Giunta
Regionale in carica, con sede in Firenze,  per  la  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale della legge regionale 2 agosto 2013, n.
46, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Toscana  del  7
agosto 2013, n. 39, limitatamente all'art. 6, comma 2. 
 
                              F a t t o 
 
    La legge della Regione  Toscana  2  agosto  2013,  n.  46,  detta
disposizioni in materia di «Dibattito pubblico regionale e promozione
della partecipazione alla elaborazione delle  politiche  regionali  e
locali». 
    Limitatamente  all'articolo  indicato  in  epigrafe,   la   legge
regionale e' costituzionalmente illegittima e, giusta  determinazione
assunta dal Consiglio dei ministri nella riunione  del  27  settembre
2013, viene impugnata per i seguenti 
 
                             M o t i v i 
 
    1. La legge della Regione  Toscana  n.  46,  del  2013,  prevede,
all'art. 3, la istituzione dell'Autorita' regionale per la garanzia e
la promozione della partecipazione, i cui oneri di funzionamento sono
posti a carico del bilancio regionale. 
    Il successivo art.  6,  sotto  la  rubrica  «Sede,  strutture  ed
indennita' delle  Autorita'»,  al  comma  2  dispone:  «I  componenti
dell'Autorita', ad eccezione del Garante di cui alla legge  regionale
n. 1/2005, qualora ne sia componente, ricevono un gettone di presenza
di euro 300,00 lordi per ogni seduta collegiale, fino ad  un  massimo
di quattro sedute mensili». 
    Tale   disposizione,   che    si    censura,    deve    ritenersi
costituzionalmente illegittima in quanto viola i principi dettati dal
legislatore statale nella materia, ai fini  del  coordinamento  della
finanza pubblica, e si pone in contrasto con l'art. 117, terzo comma,
della Costituzione. 
    2. Il  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78,  convertito  con
modificazioni dalla legge 30  luglio  2010,  n.  122,  detta  «Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica». 
    L'art. 6, del richiamato testo normativo detta  disposizioni  per
la «Riduzione dei costi degli apparati amministrativi» le  quali,  ai
sensi del comma 20 del medesimo articolo, non  si  applicano  in  via
diretta alle regioni  per  le  quali  costituiscono  disposizioni  di
principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica. 
    Il comma 2, del richiamato art. 6, statuisce al  primo  capoverso
che: «A decorrere dalla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto  la  partecipazione  agli   organi   collegiali,   anche   di
amministrazione, degli  enti,  che  comunque  ricevono  contributi  a
carico della finanza pubblica, nonche' la titolarita' di  organi  dei
predetti organi e' onorifica; essa puo' dar luogo  esclusivamente  al
rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa  vigente;
qualora siano  gia'  previsti  i  gettoni  di  presenza  non  possono
superare l'importo di 30 curo a seduta giornaliera». 
    3. La norma regionale che si censura si pone aperto contrasto con
la disposizione che si e' richiamata. 
    Il legislatore toscano, infatti, ha previsto la corresponsione di
un gettone  di  presenza  in  favore  dei  componenti  dell'Autorita'
regionale per la garanzia e la promozione della partecipazione, ne ha
fissato la misura ed ha previsto che si  possa  raggiungere,  a  tale
titolo, un compenso mensile lordo di 1200  euro,  oltre  il  rimborso
delle spese, disciplinato dal successivo comma 3, del  medesimo  art.
6. 
    Cosi'  facendo  il   legislatore   regionale   ha   contraddetto,
disapplicandolo, il principio contenuto nel primo alinea,  del  primo
capoverso, del comma 2, dell'art. 6, del  decreto-legge  n.  78/2010,
secondo cui la partecipazione agli organi collegiali, degli enti  che
ricevono  contributi   a   carico   delle   finanze   pubbliche,   e'
esclusivamente onorifica e non da titolo al riconoscimento  di  alcun
compenso. 
    Principio reso ancor piu' chiaro  e  stringente  dalle  ulteriori
disposizioni contenute nella richiamata norma statale. Ed infatti, il
secondo alinea, dello stesso capoverso, precisa che la partecipazione
agli organi collegiali puo'  dar  luogo  esclusivamente  al  rimborso
delle spese vive  sostenute,  sempre  che  cio'  sia  previsto  dalla
normativa in vigore. Il terzo alinea, infine, fa salvi solo i gettoni
di presenza, gia' previsti dalla normativa anteriore  all'entrata  in
vigore  del  decreto-legge  n.  78/2010  (con   cio'   implicitamente
affermando che tale forma di  compenso  non  puo'  essere  introdotta
dalla  normativa  successiva  a  tale  ultima   data),   riducendone,
tuttavia, drasticamente la misura. 
    4. Il contrasto della disposizione regionale che si  censura  con
il richiamato art. 6, comma 2,  del  decreto-legge  n.  78/2010,  che
costituisce, per le regioni, principio di coordinamento della finanza
pubblica, ne sostanzia la illegittimita' costituzionale. 
    Tale vizio appare ancora piu' evidente  alla  luce  dei  principi
enunciati da codesta Corte  costituzionale  proprio  con  riferimento
alla richiamata normativa statale. 
    Si fa qui riferimento, innanzitutto, alla  sentenza  n.  211/2012
ove e' stato affermato che il soprarichiamato comma 2, in uno con  il
successivo comma 3: «.rappresenta l'espressione di un unico principio
fondamentale  che   persegue   il   contenimento   delle   spese   di
funzionamento degli enti pubblici regionali». 
    Ne' puo' sottacersi quanto affermato nella  stessa  decisione,  e
confermato nella successiva sentenza n. 218/2013, secondo cui, se  e'
pur vero che le regioni possono attuare il  richiamato  art.  6,  del
decreto-legge n. 78/2010, in modo graduato e differenziato,  tuttavia
non possono accettarsi deroghe che, nella sostanza, contraddicono del
tutto lo scopo perseguito dal legislatore  statale  ed  il  principio
dallo stesso dettato. 
    Cosi'  facendo,  infatti,  le  disposizioni  regionali  sarebbero
«intrinsecamente lesive non solo dell'obiettivo di abbattimento della
spesa pubblica regionale, ma direttamente  di  quello,  minimale,  di
contenimento della stessa», di tal che «esse vanno oltre i margini di
discrezionalita' del legislatore regionale e finiscono per  porsi  in
contrasto con il nucleo stesso del principio statale, che mira ad una
riduzione della spesa per il personale (e per il funzionamento  degli
enti pubblici regionali, n. d.a.)». 
    Conclusivamente, poiche'  la  censurata  norma  regionale  e'  in
evidente contrasto col riportato  principio  di  coordinamento  della
finanza pubblica, essa trasmoda dai limiti competenziali  fissati  in
detta materia alla potesta' legislativa concorrente delle Regioni.